mercoledì 17 luglio 2019

CARLO LEVI il mondo dipinto e scritto del Sud




Levi Carlo (Torino, 29 novembre 1902 - Roma, 4 gennaio 1975), di origine ebraica, pittore, certamente e soprattutto, ma anche pensatore, politico e scrittore, con una laurea in medicina. Un grande italiano del Novecento, nel senso che esprime i caratteri essenziali e dominanti, le grandi contraddizioni, con somma efficacia ed incisiva espressività. Egli vive, dipinge, pensa ed agisce nel cuore del secolo.¹
 
Dopo gli studi di medicina (nel luglio 1924, Levi si laurea in medicina, professione di medico che non proseguirà dal 1925 in quanto intenzionato a fare il pittore), cominciò a dipingere sotto la guida di Casorati; due soggiorni a Parigi (1923 e 1933) lo misero a contatto con la lezione dei fauves, ma anche di Modigliani e degli «espressionisti». Soutine e Kokoschka, orientandolo verso una pittura dove l'adesione alla realtà si stempera in un emozionato cromatismo. Dal 1929 ha partecipato al Gruppo dei Sei di Torino, costituitosi in opposizione all'ufficialità novecentistica. Amico di Piero Gobetti, fondatore con i fratelli Rosselli del movimento clandestino Giustizia e Libertà, fu condannato dal regime fascista al soggiorno coatto in Basilicata (sotto il fascismo chiamata Lucania), 1935-36, a causa della sua attività antifascista, esperienza che gli ispirò l'opera Cristo si è fermato a Eboli (scritto tra il sicembre del 1943 e il luglio del 1944 e pubblicato da Einaudi nel 1945)². Il titolo dell'opera è dato da una espressione lucana, modo di dire, simbolica che «[...] ha un senso molto più profondo che, come sempre, nei modi simbolici è quello reale.»³ 

Carlo Levi, poco a poco, «ha colto la coesistenza di simboli e stereotipi, lo strano identificarsi  di messaggi e codici, l'automatismo dell'universo folklorico»⁴. Maria Corti si sofferma su qualche esempio di «stilizzazione lirica» che ha attribuito all'universo contadino la dimensione poetico-letteraria. Scrive l'autorevole semiologa:

Un esempio di bella stilizzazione del reale, in cui lo scrittore e il pittore collaborano, è la resa iconica della presenza della morte su innumerevoli porte del villaggio, dove stendardi neri, appesi alla morte di qualcuno e lasciati sul posto finché il tempo li sbianca, fanno apparire il paese «imbandierato per la festa della Morte». Così è indimenticabile la figurazione di certi riti: come la scuoiatura della capra ammazzata, e indi posta su un tavolo retto da due cavalletti: «uno zoppo, vestito di nero, con un viso secco, serio, sacerdotale, sottile come quello di una faina, soffiava come un mantice nel corpo della capra morta». Alla fine la capra «nuda e spelata come un santo» rimane sola sul tavolaccio e guarda il cielo; il lettore è colpito dalla grande armonia che si instaura fra i dissimili, cielo e capra, esito tipico della ritualità⁵.
 
Levi scrive in un momento storico che impone riflessione e bilanci, riemergono i ricordi del periodo del confino, trascorso in Lucania. L'incipit, ormai famoso, ci porta in questa direzione:

«Sono passati molti anni,pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia. Spinto qua e là alla ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa fatta, lasciandoli, ai miei contadini, di tornare fra loro, e non so davvero se e quando potrò mantenerla. Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato riandare con la memoria a quell'altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
 
Il Cristo sta a mezzo tra il saggio e il romanzo, tra il memoriale e la cronaca. Come scrive Sergio D'Amaro, nell'opera Levi fissa, con inedita sensibilità antropologica, i costumi, i riti, i personaggi, la mentalità di un tipico paese meridionale degli anni Trenta, mettendo in risaltola situazione della corrotta piccola borghesia locale e quella drammatica, dei numerosissimi contadini costretti a una vita di stenti e di oppressione sociale.
 
Nel libro, che io ho letto e riletto, non ho mai scorto alcuna motivazione politica - ed è bene dirlo - perché quella "lettura" vi può essere. «Suscitò in me, piuttosto, un sentimento di partecipata solidarietà per gli umili e gli oppressi e l'indignata reazione contro tutti coloro che esercitano un ingiusto potere, per la prevaricazione in tutte le forme.» (come ben scrive Domenico Notarangelo). «La critica italiana, sin dai suoi esordi come scrittore, nell'immediato secondo dopoguerra, con Cristo si è fermato a Eboli, non è riuscita a comprendere l'opera letteraria di Carlo Levi nella sua complessità e problematicità. Sono prevalse costantemente opposte unilateralità. Nel clima post-resistenziale, fortemente ideologizzato, essa ha oscillato tra l'esaltazione dell'«impegno» dell'autore nel denunciare lo stato di miseria in cui il fascismo aveva ridotto i ceti popolari e l'individuazione di una componente decadente nella sua opera, consistente nella mitizzazione di un mondo arcaico, immobile nei secoli, come quello contadino meridionale. (Antonio Calfamo)⁶. Italo Calvino ha definito come «discorso totale» quello di Carlo Levi, in una ravvisabile “interstualità tra opere in prosa, poesie, dipinti e opere grafiche in generale.  
 
 
foto segnaletica di Carlo Levi
al momento del suo esilio a Grassano

 
Levi continuerà nel dopoguerra la sua attività di giornalista, in qualità di direttore del quotidiano romano Italia libera, partecipando ad iniziative e inchieste politico-sociali sulla arretratezza del Mezzogiorno d'Italia, e per molti anni collaborerà con il quotidiano La Stampa di Torino. 
 
Della copiosa produzione artistica di Levi (oltre un migliaio di opere), almeno un centinaio di dipinti furono realizzati durante il periodo del confino lucano, o comunque recano chiari i segni dell'ispirazione meridionalista.⁷
 
La salma dello scrittore torinese riposa nel cimitero di Aliano, dove volle essere sepolto per mantenere la promessa di tornare, fatta agli abitanti, lasciando il paese. In realtà Levi tornò più volte in terra di Basilicata nel secondo dopoguerra.
 
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₁ Paolo Scarpellini - Carlo Levi pittore in Intelligenti pauca - ed. Donzelli, 2005, p. 3
₂ Il libro fu scritto in una «stanza segreta» della casa di Anna Maria Ichino in Piazza Pitti durante l'occupazione nazista di Firenze. La Ichino fu la donna che tenne nascosto e accudì Levi durante il periodo clandestino, a Firenze. Il manoscritto originale, in seguito, fu donato da Levi alla Ichino in segno di riconoscenza per l'ospitalità preziosa e premurosa in casa sua, la quale è autorizzata a venderlo in caso di bisogno. E, infatti, lo venderà all'Università texana di Austin.
₃ Maria Corti - Carlo Levi. Neorealismo e teoria della letteratura negli anni Ottanta. p. 28. Opera recensita: Carlo Levi nella storia e nella cultura italiana («Fondazione Carlo Levi» - «Storia, cultura, politica») di Gigliola De Donato.
₄ Ivi, p. 29
₅ Ivi, p. 30
₆ Antonio Calfamo, Carlo Levi. Viaggio nella simbologia del mondo contadino e pangenesi sociale. op. cit.
₇ Paolo Scarpellini - Carlo Levi pittore, in Intelligenti pauca - ed. Donzelli, 2005, p. 4
 
 
I colori della tavolozza di Levi 
 
Bronzini si sofferma sui vari colori del paesaggio e sul loro significato simbolico:
 
Giallo è il colore della terra e diventa infernale per i contadini che lavorano: «il giallo infernale della terra» [...] Il cangiamento dei colori negativi, dal giallastro al grigiastro, delinea la bruttezza del paesaggio, che era il meno pittoresco che avessi veduto mai: per questo mi piaceva moltissimo» [...].
Il nero è segno di morte e miseria esteriore e psicologica, nonché di angoscia e desolazione. Nero è il colore acquisito dai contadini,
«non è un colore, ma è l'oscurità della terra e della morte» [...], che s'imprime sui loro volti. È disseminato in tutti i libri di viaggio di Levi ed è usato specialmente per raffigurare scene e figure nell'ambito dell'antropologia del vilaggio. Ricorrente come aggettivo in maniera ossessiva nella scrittura, mentre solo a tratti compare nella pittura lucana, vale di solito come accrescitivo per indicare il grado massimo di qualcosa con riferimento al sostantivo cui si accompagna: «più nera miseria» [...], «miseria più nera» [...]; oppure fa da accrescitivo al significato degli altri aggettivi a cui viene premesso o aggiunto: «foschi come uccelli notturni» [...], che ritroveremo analogo in Tutto il miele è finito [...]: «neri uomini ritrosi e feroci»; e altresì preposto o apposto come unico aggettivo, con valore equivalente solitamente a "cupo": «nero sguardo degli animali» [...], «nero cielo» [...], «alberi neri» [...], «dorsi neri dei monti» [...]: nel senso di "funesto" per sostantivi astratti: «nera sorte» [...].
il verde, invece, è segno di un evento nuovo, tanto più strano e inatteso quanto meno corrispondente con la stagione. Così al rientro in Lucania dopo pochi giorni trascorsi in licenza a Torino:
«Grassano mi risultava dalla cima del monte, periodica amichevole apparizione: ma il suo aspetto era mutato. Mi resi conto allora delle ragioni di quell'aspetto strano del paesaggio che avevo veduto al mio risveglio dal finestrino del vagone. Il colle si alzava, come sempre, con le sue lente ondulazioni e le sue fratture improvvise, fino al cimitero e al paese: ma la terra, che avevo sempre veduta grigia e giallastra, era ora tutta verde, d'un verde innaturale e imprevedibile.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli    
Ma il verde, col suo carattere innaturale nell'ambiente del confino, è ricollegato, col suo significato simbolico, anche al dramma del prigioniero.

In corriispondenza col fenomeno ottico esterno, la semantica dei colori eromperà, quindi a dar figura artistica al dramma del prigioniero in cammino:

«La primavera era scoppiata d'un tratto, anche qui, durante i pochi giorni della mia assenza; ma quel colore, altrove così pieno di allegra armonia e di speranza, aveva qui qualche cosa di artificioso, di violento; suonava falso, come il rossetto sul viso bruciato dal sole di una contadina. Gli stessi verdi metallici mi accompagnarono attraverso la salita, verso Stigliano, come quelli stronati di una tromba in una marcia funebre. I monti tornarono a chiudersi alle mie spalle, come i cancelli di una prigione, quando scendemmo verso il Sauro, e riprendemmo la salita verso Gagliano. Sulle argille bianche, le piccole chiazze di verde, sparse qua e là, brillavano al sole ancora più intense e più strane, come delle grida; parevano lembi di maschere stracciate, sparse alla rinfusa.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

Proprio perché innaturale, il verde dura poco:

«L'effimera, strana primavera era ormai finita. Il verde non era durato che una decina di giorni, come un'assurda apparizione. Poi quella poca erba era seccata sotto il sole e il vento ardente di un maggio improvvisamente estivo. Il paesaggio era tornato quello di sempre, bianco, monotono, calcinoso.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
 
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₈ Antonio Catalfamo - Carlo Levi. op. cit. pp. 212-214

 

La tavolozza dei colori di Carlo Levi - Pinacoteca Carlo Levi, Aliano 
foto: © Pasquale Dicillo


Le opere del ciclo Cristo si è fermato a Eboli: le prime dipinte durante il confino, poi, nel ricordo di questo, dopo la guerra. Il soggiorno coatto a Aliano (nel racconto, il paese viene chiamato Gagliano, imitando la pronuncia locale) e Grassano in Lucania, l'atmosfera grave e luttuosa furono per l'artista esperienze umane fondamentali; Levi ritraeva gli abitanti di quei luoghi, i bambini con i grandi occhi sognanti ma severi, già adulti. Era una pittura pervasa di malinconia muta che anticipava certe tematiche dal movimento di Corrente, in precoce anticipo anche con la pittura socialmente impegnata nell'ambito del filone realista del secondo dopoguerra.

«Sono arrivato a Gagliano un pomeriggio di agosto, portato in una piccola auto sgangherata. Avevo le mani impedite, ed ero accompagnato da due robusti rappresentanti dello Stato, dalle bande rosse ai pantaloni e dalle facce inespressive Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

Levi, dopo tre mesi di permanenza a Aliano, giunge da Matera il permesso di poter trascorrere alcuni giorni a Grassano, la sua precedente residenza, per sistemare alcuni effetti personali.

Così Carlo Levi descrive all'inizio del suo Cristo si è fermato a Eboli il suo arrivo nel paese lucano di Aliano (vi trascorse circa un anno e fu rilasciato nel maggio 1936 in segno di buona volontà, grazie all'esultanza italiana per la vittoria dell'esercito di Mussolini nella seconda guerra italo-etiope) dopo aver trascorso diversi mesi in carcere per le sue idee. Vi arriva da Grassano dove in un primo tempo era stato mandato al confino.
 
 
Vista dei Calanchi dal balcone della Pinacoteca Carlo Levi - Aliano
foto: © Michele Del Vecchio 


 
Aliano 2013 - foto: © Salvatore Di Villo
 
 
«La casa dove finalmente pochi giorni dopo (...) andai ad abitare, era stata costruita da lui [un prete], ed era, si può dire, l'unica casa civile del paese. Se l'era fatta vicino alla chiesa della Madonna degli Angeli; e ora che la chiesa era crollata nel burrone, la casa si era trovata ad essere l'ultima sul ciglio del precipizio. Era composta da tre stanze, una in fila all'altra. Dalla strada, un vicoletto laterale sulla destra della via principale, si entrava in cucina, dalla cucina nella seconda camera, dove io misi il letto; e di qui si passava ad una stanza grande, con cinque finestrelle, che fu la mia stanza di soggiorno e il mio studio di pittura. Dalla porta dello studio si scendeva per quattro scalini di pietra in un piccolo orticello, chiuso in fondo, da un cancelletto di ferro con un albero di fico nel mezzo. La camera da letto dava su un balconcino, da cui una scaletta saliva, sul fianco della casa, alla terrazza che la copriva tutta: di qui la vista spaziava sui più lontani orizzonti. [...] Lo studio e la terrazza avevano un pavimento a scacchi colorati [...].» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

 

I Calanchi visti dalla casa di Aliano, dove Carlo levi da confinato visse
 
 
Nei quadri dipinti nel periodo del confino in Lucania Carlo Levi usa "pennellate piene e grasse" (Paolo Ricci - Omaggio a Carlo Levi), come già abbiamo visto in un gruppo di opere di notevole importanza nel panorama dell'arte italiana contemporanea nel periodo tra il 1929 e il 1931. (Antonio Catalfamo - Carlo Levi - op. cit. pp. 27-28)
 
 
Il paesaggio


Così Levi descrive Grassano, dove arrivò il 3 agosto del 1935, per ripartirne il 17 settembre successivo, quando fu trasferito a Aliano, dedicando le pagine più belle al paese che per primo lo ha accolto durante la sua forzata permanenza in Basilicata.

Nella prima lettera scritta alla madre il 5 agosto afferma:
«Credevo che anche Grassano fosse un paese di montagna e me lo figuravo tra boschi e salite impervie [...] Non so ancora come potrò dipingere questo paesaggio così serio e grave, che è esattamente l'opposto della varietà colorata e felice di Alassio.» (in Carlo Levi e la Lucania. Dipinti del confino 1935-1936 - ed. De Luca, 1990, p. 100).

«Bianco in cima ad un alto colle desolato, come una piccola Gerusalemme immaginaria nella solitudine di in deserto.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
   
Grassano come Gerusalemme (1935)
olio su tela, cm 73 x 100



Dietro Grassano (1935)
olio su tela, cm 73 x 92
Roma - Fondazione Carlo Levi


Levi  arriva a Aliano il 18 settembre 1935⁹, aggiungendosi ad altri sette confinati. Già da quasi dieci anni la Basilicata è stata scelta come terra di confino, per evitare il sovraffollamento nelle isole Tremiti ed a Ponza. I confinati appartengono a diverse categorie sociali e ricevono un modesto contributo con l'obbligo di svolgere un lavoro.
L'impatto di Levi con Aliano è sconvolgente. Vi dominano la noia e il lutto, per i quali gli unici rimedi sono la stregoneria e la magia. Aliano si rivela come un universo chiuso, estremo, subumano; e tuttavia non impenetrabile e non così estraneo da non scuscitare attenzione. Levi vi si immerge infatti, convinto del fatto, che dietro a quel complicato sistema di formule e di credenze fantastiche, niente affatto ridicole, vi sia depositata un'antica sapienza popolare, che attraverso scongiuri e fatture, esorcismi e magie, mette in atto una collaudata pratica di sopravvivenza contro ogni sorta di mali. Non è un gioco ozioso quello di chiedere, informarsi,interrogare i contadini, le fattucchiere, i pastori, il becchino intorno alle loro superstizioni, ma il modo più giusto per imparare a conoscerli.


Paesaggio di Aliano [Aliano in grigio-rosa], (1935)
olio su tela, cm 51 x 62.5
Roma - Fondazione Carlo Levi


Eccolo infatti per le strade, nei vicoli, dentro le case, carta e penna alla mano, ad annotare quanto gli viene raccontato. Se Levi è stupefatto per un'umanità di tal genere, non meno lo sono i «cafoni» per un personaggio come lui.


La strada alle grotte (1935)
olio su tela, cm 74 x 93.5
 
 
La Fossa del bersagliere (ha preso il nome dai briganti o dai loro fatti) è piena d'ombre, e l'ombra avvolge i monti viola e neri che stringono d'ogni intorno l'orizzonte. Brillano le prime stelle, scintillano di là dall'Agri i lumi di Sant'Arcangelo, e più lontano, appena visibili, quelli di qualche altro paese ignoto, Noepoli forse o Senise. La strada è stretta, sulle porte stanno seduti i contadini, nel buio che sale. Dalla casa del morto giungono i lamenti delle donne. Un brusio indistinto mi gira intorno in grandi cerchi, e di là c'è un profondo silenzio. Mi par di esser caduto dal cielo, come una pietra in uno stagno. 

«La piazza non è veramente che uno slargo dell'unica strada del paese, in un punto più piano, dove finisce Gagliano di Sopra, la parte alta. Di qui si risale un altro po', e si ridiscende poi, attraversando un'altra piazzetta, a Gagliano di Sotto, che termina sulla frana. La piazza ha case da una parte sola; dall'altra c'è un muretto basso sopra un precipizio, la Fossa del Bersagliere, così chiamata per esservi stato buttato un bersagliere piementose, sperdutoci in questi monti al tempo del brigantaggio e fatto prigioniero dai briganti.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli


La Fossa del Bersagliere (1936)
olio su tela, cm 73.5 x 92
 

La Fossa del Bersagliere (1936)
olio su tela, cm 67 x 54.3


La Lucania è un paese calcareo e in certi momenti ti sembra di allunare più che arrivare. (Diego Carpitella)


__________
₉ Aliano, il borgo si colloca su uno sperone argilloso e scosceso, a 498 metri di di altitudine, e domina la Val d'Agri e il torrente Sauro.
₁₀ Diego Carpitella (1924-1990), antropologo.


I ritratti


Autoritratto con fornello (1935)
olio su tela, cm 74 x 93.9


Questo mondo così diverso è però non solo superstizione e magia, è anche ferite e violenze concrete, che si toccano con mano, esso è soggiogato dalle leggi ferree e spietate di una società stagnante e retriva, oscura e ignorante, sottoprodotto di una borghesia incivile e degradata, attraversata da basse passioni. Su Aliano incombe la malattia e la morte (una malattia endemica quale è la malaria). Non esiste il senso e l'idea stessa dell'igiene, esiste invece una malsana commistione di uomini ed animali.

Levi ha fatto due dipinti alla Giulia la Santarcangelese, la donna che gli faceva i servizi a Aliano. Il suo viso era ormai rugoso per anni e ormai ingiallito dalla malaria ma c'erano segni di antica bellezza nella sua struttura severa, come nelle pareti di un tempio classico, che perdeva il marmo che li adornava ma conservava ancora forma e proporzioni. 


Giulia la Santarcangelese (1935) 
olio su tela, cm 46 x 38

«Avrebbero potuto entrare a casa mia, per farmi i servizi, soltanto quelle donne che fossero, in qualche modo, esentate dal seguire la regola comune [che tendono a impedire il contatto degli uomini e delle donne”. Nessuna donna può frequentare un uomo se non in presenza d'altri, soprattutto se l'uomo non ha moglie: e il divieto è rigidissimo: infrangerlo anche nel modo più innocente equivale ad aver peccato. La regola riguarda tutte le donne, perché l'amore non conosce età.]; quelle che avessero avuto molti figli di padre incerto, che senza poter essere chiamate prostitute (ché tale mestiere non esiste in paese), facessero tuttavia mostra di una certa libertà di costumi, e si dedicassero insieme alle cose dell'amore e alle pratiche magiche per procacciarlo: le streghe. Di tali donne ce n'era almeno una ventina a Gagliano: ma, mi disse donna Caterina, alcune erano troppo sporche e disordinate, altre incapaci di tenere civilmente la casa, altre avevano da badare a qualche loro terra, altre servivano già in casa dei signori del luogo. - Una sola fa veramente per lei: è pulita, è onesta, sa far da mangiare, e poi, la casa dove lei va ad abitare è un po' come fosse la sua. Ci ha vissuto molti anni col prete buon'anima, fino alla sua morte -. Mi decisi dunque a cercarla: accettò di venire da me, e fece il suo ingresso nella mia nuova casa. Giulia Venere, detta Giulia la Santarcangelese, perché era nata in quel paese bianco, di là dall'Agri, aveva quarantun anno, e aveva avuto, tra parti normali e aborti, diciassette gravidanze, da quindici padri diversi.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

La maternità di una contadina. Nel dipinto de La Santarcangelese del 1936 non vi è differenza tra la veste della donna e il paesaggio dietro di lei. Questo rimanda al concetto universale di maternità ed all'idea che le nostre radici ce le portiamo addosso.    


La Santarcangelese (1936)
olio su tela, cm 100 x 73.5


Levi fa lunghi rifermenti a Giulia la Santarcangelese, alla sua personalità, alla sua credulità, alla sua esperienza ed alle sue entità magiche e soprannaturali e, in generale, alla straordinaria impressione che le ha dato e li ha diluiti in gran parte del romanzo. Giulia raccoglie acqua in una vasca da bagno e quando Levi è nel bel mezzo di farsi di lavarsi Giulia entra senza tante cerimonie in bagno e rimprovera Levi per non averla avvertita, dal momento che non sarebbe stato in grado di lavarsi la schiena senza aiuto.

«Avevo fatto venire da Bari una bigoncia di ferro smaltato per farci il bagno; e la mattina la portavo nella mia camera da letto per lavarmici, chiudendo la porta della cucina dove la donna col suo bambino stava in faccende. La cosa pareva molto strana alla Giulia che un mattino aprì la porta, e senza mostrare di scandalizzarsi della mia nudità, mi chiese come mi fosse possibile fare il bagno senza che nessuno mi insaponasse la schiena, e mi aiutasse ad asciugarmi.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

La compagnia dei bambini

«Se non avevo la compagnia dei signori, avevo quella dei bambini. Ce n'erano moltissimi, di tutte le età, e usavano battere al mio uscio ad ogni ora del giorno.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

Il Capitano e le volpi (1935)
olio su tela, cm 69 x 88.5


Tonino o Ragazzo lucano [Tonino de Giglio], 1935
olio su tela, cm 50 x 61
Roma - Fondazione Carlo Levi


Qui l'apparente malinconia del ragazzo è raccontata da una sinfonia di azzurri e verdi che lo avvolgono completamente.

«Un altro dei miei fedeli era Michelino, un ragazzo di una decina d'anni, avido, astuto e melanconico, con gli occhi neri e opachi, eredità di antichissimi pianti, che parevano l'immagine vera di quel paese desolato.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

Ragazzo lucano [Michelino], 1936
olio su tela, cm 50 x 65


«Uno di essi, Giovannino, un ragazzo bianco e nero, con degli occhi rotondi e un viso stupito sotto il cappello da uomo, figlio di un pastore, non si separava mai da una sua capra fulva, con gli occhi gialli, che lo seguivano dappertutto come un cagnolino. Quando veniva a casa mia con gli altri bambini, anche la capra Nennella entrava nella mia cucina, annusando, desiderosa di sale. Barone¹¹ aveva imparato a rispettarla: quando si usciva a dipingere, Nennella seguiva saltellando la fila dei ragazzi, mentre il cane correva innanzi abbaiando di felice intrattenibile libertà.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

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₁₁ Barone, il piccolo cane randagio abbandonato, un barboncino bianco, che è stato regalato a Carlo Levi a Grassano e che poi Levi ha portato a Aliano, dal quale non si separerà mai duranteil confino in Basilicata.


Giovannino e Nennella (1936)
olio su tela, cm 100 x 73 
 
 
Il pastore con l'agnello sul collo (1936)
 olio su tela, cm 50 x 65



Qui traspare una dolcezza infinita con quell'agnellino che si torce oltre misura per accostare il muso al viso del fanciullo.


I due amici (1936)
olio su tela, cm 50 x 64
 
 
I fratelli (1953) - dal ciclo Cristo si è fermato a Eboli
olio su tela, cm 92 x 73
Torino - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea
 

«Verso l'alba il malato si avviò alla fine. Le invocazioni e il respiro si cambiarono in un rantolo, e anche quello si affievolì a poco a poco, con lo sforzo di una lotta estrema, e cessò. Non aveva ancor finito di morire che già le donne gli abbassavano le palpebre sugli occhi sbarrati, e cominciavano il lamento. Quelle due farfalle bianche e nere, chiuse e gentili, si mutarono d'improvviso in due furie. Si strapparono i veli e i nastri, si scomposero le vesti, si graffiarono a sangue il viso con le unghie, e cominciarono a danzare a gran passi per la stanza battendo il capo nei muri e cantando, su una sola nota altissima, il racconto della morte. Ogni tanto si affacciavano alla finestra, gridando in quell'unico tono, come ad annunciare la morte alla campagna e al mondo; poi tornavano nella stanza e riprendevano il ballo e l'ululato, che sarebbe continuato senza riposo per quarantott'ore, fino all'interramento. Era una nota lunga, identica, monotona, straziante. Era impossibile ascoltarla senza essere invasi da un senso di angoscia fisica irresistibile: quel grido faceva venire un groppo alla gola, pareva entrasse nelle viscere. Per non scoppiare a piangere mi congedai in fretta ed uscii, con Barone, alla luce del primo mattino.» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli

Donne piangenti (s.d., ma 1953)¹² Pinacoteca Carlo Levi - Aliano 
pennarello e tempera su carta intelata, cm 70.5 x 102
 
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₁₂ L'opera, scrive Nicola Coccia, fa parte del ciclo dedicato alla scomparsa di Rocco Scotellaro, che culmina con l'opera pittorica Il Lamento per la morte di Rocco Scotellaro. Può essere collocata cronologicamente tra la morte di Scotellaro (16 dicembre 1953) e la data di inizio del Lamento (31 dicembre 1953). Il tema della scomparsa dell'amico / poeta viene ripreso in diversi disegni e bozzetti. L'opera, quindi, è databile al 1953.


Lamento per Rocco Scotellaro (1953-1954)
olio su tela, cm 97 x 146
Roma - Fondazione Carlo Levi


Grassano (1954)
olio su tela, cm 73.5 x 100
 
 

Il Telero di Carlo Levi Lucania 61


La grande tela (18.50 x 3.20 m, circa 60 metri quadrati di pittura), esposta a Palazzo Lanfranchi a Matera, fu dipinta da Levi per rappresentare la Basilicata alla Mostra delle Regioni nell'Esposizione Italia '61 che si tenne a Torino in occasione delle celebrazioni per il centenario dell'Unità d'Italia. Il Telero, per definizione, è un racconto, per lo più in serie con altri, con cui forma grandi cicli storici e narrativi.

Il dipinto rappresenta la Lucania, dove l'artista trascorse diciotto mesi di confino, ed è dedicato a Rocco Scotellaro, primo simbolo poetico della civiltà contadina scoperto proprio da Levi: lo dipinge al centro della tela, fanciullo, come se fosse l'oracolo della sua stessa vita, con lo sguardo fiero e sorridente e con la consapevolezza di speranza che la comunità ripone in lui, essendo eletto sindaco di Tricarico.

La dimensione pubblica della vita scorre tra il corteo dei contadini che risale dalle argille aride e desolate e la piazza, vissuta da soli uomini catalizzati da Rocco, sindaco di Tricarico, che recita le sue poesie, chiarisce le sue idee, incita a rompere l'apatia di chi guarda sgomento un orizzonte disilluso e rassegnato.
La platea è composta da contadini, con le facce arse dal sole ma pronti a percepire l'anelito del suo messaggio di riscatto, con la stessa attenzione degli intellettuali e dei poeti Umberto Saba, Michele Parrella, Pietro Pannarella, Carlo Muscetta, Rocco Mazzarone e Levi stesso, che con loro si fondano in una unica ideale orgogliosa comunità.
Testimoni della scena i padri della Lucania post-Risorgimentale, Giuseppe Zanardelli, Francesco Saverio Nitti, Giustino Fortunato, Guido Dorso che, affacciati alla finestra della casa sulla macelleria, legittimano il sogno del
«poeta della libertà contadina» e lo consegnano alla Storia. Sulla porta della macelleria, campeggia l'iscrizione D.D.T. 15-4-61 che data l'opera e, al tempo stesso, ricorda la marcatura dei luoghi disinfestati chimicamente per liberarli dalla «mala aria».
Alla scena della vita civica della piazza si collega la vita del vicinato, luogo delle relazioni sociali e del lavoro domestico.
All'interno della grotta, dal cui fondo compare l'asino, unico bene della famiglia, dormono ammassati quindici bambini; dalla volta del lamione¹³ penzola, unica parvenza di attenzione sanitaria, il nastro colorato della carta moschicida.
Nel «Lamento su Rocco» la pittura di Carlo Levi tocca l'apice del lirismo. In contrapposizione al «Comizio», un circolo di sole donne distrutte dal dolore piangono la morte di un uomo giovane e giusto.
Due madri, a sottolineare ancora la condivisione di idee e la fratellanza, Anetta Treves, madre di Levi, e Francesca Armento, madre di Rocco,raggomitolata ai suoi piedi, lo piangono sul letto di morte e
«cantano» la sua vita alle donne che le attorniano, tra cui Linuccia Saba e Mimma Trucco impietrite dal dolore, e due bambine dal viso dolcissimo, Anna e Marina Rossi Doria.”¹⁴
 
Il dipinto, scrive Franco Palumbo, come uno schermo panoramico, racchiude la storia di Tricarico e del suo poeta Rocco Scotellaro, di Grassano e Aliano, luoghi di confino dello scrittore-pittotre, e di Matera capitale della 'cultura contadina'. È un'opera di grande respiro emotivo, pregna di realismo esasperante [...]. Nella sequenza pittorica si possono leggere ancora i richiami dei problemi irrisolti del Mezzogiorno.
 
Attraverso le varie parti che costituiscono il grande dipinto vediamo quindi riprodotti e illustrati i luoghi, i personaggi e le immagini care al pensiero di Levi. Non a caso il dipinto è stato considerato una "metafora" delle genti di Basilicata.
 
La grande tela, divisa in tre scene, è composta da cinque pannelli: il primo, più grande, ha sei metri di base, gli altri quattro hanno una base di tre metri ciascuno. Sulla sinistra è rappresentata una scena del Lamento funebre per Rocco Scotellaro, che riprende fedelmente il quadro omonimo dipinto tra il '53 e il '54. La seconda scena è costituita dalle case di un paese che è sostanzialmente un «Sasso». Spostandosi verso destra, si vede una donna con un bambino con il costume di Pisticci, alcuni bambini, contadini che tornano dai campi, Rocco attorniato dalla sua gente e da fratelli d'anima (come Saba), e infine figure di disoccupati. Il grande poema pittorico risponde in buona parte al progetto che Carlo ha da tempo di una storia del Sud negli ultimi vent'anni. Storia di miseria, di abiezione, di dignità, di lotta, di resurrezione: dalla quale sembra levarsi più forte l'ammonimento degli anni e il lutto fatto di pudore e amarezza, portato ad una civiltà che si va dissolvendo e per un'Italia che si dà un altro volto in attesa di un futuro migliore.”¹⁵

   

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₁₃ Il Lamione, nella sua forma essenziale, è costituito dal prolungamento all'esterno della volta a botte, elemento portante dell'abitazione ipogea, sostenuta da massicci muri laterali di pietra e chiusa all'estremità da una terza parete in cui si apre la porta d'ingresso. 
₁₄ Storia del Telero - Documentazione Polo Museale Regionale della Basilicata; ma si cita da Il Telero di Carlo Levi, op. cit., pp. 41-42.
₁₅ Gigliola De Donato e Sergio D'Amaro - Un torinese del Sud: Carlo Levi - ed. Baldini&Castoldi, 2001, p. 275. 


Lucania 61
 
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Famiglia nei Sassi (1961)
olio su tavola, cm 255 x 190


Carlo Levi, sia da scrittore che pittore, osserva il Sud d'Italia per comprenderne a fondo la realtà storica e socio-politica. Levi ritorna sulle tematiche meridionali nei primi anni Cinquanta, parallellamente allo sviluppo del dibattito sul realismo nella cultura figurativa italiana e ai viaggi che egli compie in varie regioni meridionali (Sicilia, Sardegna, Calabria) e da cui ricava anche alcuni scritti dedicati ai problemi.¹⁶ Nel corso degli anni Cinquanta Levi intraprese una serie di viaggi in Italia e all'estero, trasposti poi in varie opere letterarie. Tra il 1951 e il 1952 si recò in Calabria, viaggiando da Melissa alla Sila in compagnia dello scrittore Rocco Scotellaro, conosciuto nel corso della fallimentare campagna elettorale per la Costituente nel 1946. Nello stesso periodo visitò due volte la Sicilia, recandosi nuovamente nel marzo del 1955: risultato di questi viaggi nell'isola fu Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, diario dei tre viaggi tra il 1952 e 1955, in cui era ritratta la miseria di un mondo altrettanto dimenticato come la Lucania, quello dei contadini siciliani, completamente sottomesso ai privilegi dei potenti.

Levi stesso, in uno scritto del 1953, definisce le coordinate fondamentali di tutta la sua produzione:

[La Calabria] è la terra della fatica contadina, della miseria e della civiltà contadina. Il suo colore è quello della terra antica [...] lo stesso colore del viso degli uomini e delle donne, il colore della malaria, della fame, della fatica, della pazienza e del coraggio di vivere. Gli uomini e le donne e i bambini che vivono su questa terra, nelle loro case di terra, coi loro animali, l'asino e la capra, e gli usi antichi e le credenze ereditate, estranei e ostili allo Stato e alla storia [...] questo mondo contadino è invece ricchissimo di verità e di potenza umana, differenziato, pieno di personalità e della poesia delle cose nascenti e, sotto l'apparenza della sua secolare immobilità, è tuttavia iin movimento, alla ricerca, attraverso le infinite storie individuali e le sofferenze infinite della vita quotidiana, di una sua originale autonomia.¹⁷ Come scrive Levi "Questi contadini di qui sono certo gente buona, ma così diffidenti. È così difficile entrare in contatto con loro, penetrare in quei animi chiusi."¹⁸

 
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₁₆ Pia Vivarelli -  Carlo Levi pittore, in Carlo Levi a Matera - ed. Donzelli, 2005, p. 37.
₁₇ Carlo Levi - Contadini di Calabria, in «L'Illustrazione Italiana», 6 giugno 1953. 
₁₈ Carlo Levi - Le parole sono pietre - , da: Introduzione (dialogo con l'Arcivescovo di Santa Severina), settembre 1955.  


La madre di Salvatore Carnevale [La madre di Sciara], (1956)
olio su tela, cm 97.5 x 147


Alla fine di maggio del 1955 Carlo Levi compie il suo terzo viaggio in Sicilia, sollecitato dall'uccisione, a Sciara (Comune della provincia di Palermo), del sindacalista socialista Salvatore Carnevale. Questa esperienza confluisce nel saggio Le parole sono pietre. La Sicilia si è messa in movimento, si moltiplicano le lotte dei contadini per la terra. Un intellettuale triestino, Danilo Dolci, è approdato nell'isola per dare il suo contributo all'emancipazione degli oppressi. Per tutta risposta viene condannato dal tribunale. Scrive un libro di denuncia intitolato Banditi a Partinico, edito da Laterza. (A. Catalfamo - Carlo Levi, op. cit., p. 64).
 
 
La locandina per il film Cristo si è fermato a Eboli 


Nel 1979 dal libro è stato tratto un omonimo film del regista Francesco Rosi, che chiamò ad aiutarlo nella sceneggiatura il poeta, scrittore e sceneggiatore Tonino Guerra. Il personaggio di Levi è magistralmente interpretato da Gian Maria Volontè. Giulia, la Santarcangelese è interpretata da Irene Papas, che aveva 52 anni che porta i segni delle rughe ed altri segni del tempo sfoggiati da Giulia che ne ha solo 41. E non poteva farlo meglio.
 
Quando il film è uscito c'è stato un piccolo fraintendimento del responsabile del poster: l'opera è molto bella e mostra un collage di dipinti di Levi, avendo Volontè al centro, che rappresenta il pittore. La persona femminile doveva rappresentare Giulia, la Santarcangelese, mentre è in realtà la madre di Salvatore Carnevale. Nel poster vi è anche il dipinto "I quattro di Cutro" (in alto, al centro, sotto le colline).
 
 

Carlo Levi e i dipinti post Lucania
dedicati al mondo contadino ed al Sud Italia

 
Sono gli stessi volti e gli stessi paesaggi che Levi ha incontrato durante il confino in Lucania, apparentemente immutati nei secoli.

Ma questo mondo contadino è invece ricchissimo di verità e di potenza umana, differenziato, pieno di personalità e della poesia delle cose nascenti e, sotto l'apparenza della sua secolare immobilità, è tuttavia in movimento, alla ricerca, attraverso le infinite storie individuali e le sofferenze infinite della vita quotidiana di una sua originale autonomia. (Contadini di Calabria, in «L'Illustrazione Italiana», 6 giugno 1953.) 


Contadine rivoluzionarie (1951)
olio su tela, cm 73 x 100.5
Roma - Fondazione Carlo Levi


Contadina calabrese (1953)
olio su tela, cm 76 x 36.5
Roma - Fondazione Carlo Levi


Lamento funebre a Orgosolo (1952 ? - 1964? circa)
olio su tela


Per capire il significato del titolo del libro Tutto il miele è finito, bisogna arrivare alle pagine conclusive, con il riferimento ad un canto funebre ascoltato a Orune (Nuoro), nel quale la morte di un figlio è indicata dalla madre come la fine del miele della casa. Tradotto liberamente in italiano, il canto suona così:

Tu vedi la padrona
e vorresti il tuo miele
ma soltanto del latte 
ora ti potrà dare.

Il miele degli uccelli
ora è tutto finito
scorreva dalla cera
la tua vena di miele

Ora più non ce l'hai
ora è finito tutto.

Il 
«miele» che finisce è quello di un mondo, come quello sardo, che rischia di sparire, se gli uomini non avranno la capacità di preservarlo nel presente e proiettarlo nel futuro. Carlo Levi mantiene, dunque, anche in quest'ultima tappa del suo viaggio nel mondo contadino un'estrema coerenza poetica e ideologica [...]» (Antonio Catalfamo)


Contadino e asino (1970)
acrilico su tela, cm 73 x 100.5

L'ultimo viaggio di Carlo Levi


L'ultima opera. Il 9 dicembre 1974 Carlo Levi si trova a San Costantino Albanese. L'idea di un viaggio in Basilicata è data dalla presentazione ufficiale delle litografie sul Cristo appena realizzate. La visita a San Costantino è una delle tappe di un intenso percorso che tocca Potenza, Matera e Aliano. Levi è accompagnato da Francesco Esposito che è un amico del Maestro e nel suo laboratorio litografico sono state stampate le sette litografie¹⁹ ispirate al libro Cristo si è fermato a Eboli. Dopo una serata di festa organizzata in suo onore dalla comunità, Levi volle lasciare un ricordo della sua visita, un murales, quella che sarebbe stata la sua ultima opera, proprio in Basilicata. Il 4 gennaio 1975 Levi moriva in una clinica romana.


Ragazzi vestiti con l’abito tradizionale arbëresh (1974)
murales a 
San Costantino Albanese





Un disegno  schizzato di getto su una parete del locale (nell'allora sede della Pro Loco) dove si svolgeva la festa. Levi utilizza un carbone spento, tirato fuori dal camino dove si stava arrostendo la carne. Finito il disegno, Levi esprime il desiderio di poterlo completare con dei colori (pastelli), che vengono fortuitamente recuperati nelle case private e nell'edificio scolastico. Erano presenti alcuni ragazzi vestiti con l’abito tradizionale arbëresh. Levi, usa come modelli i due ragazzi in costume presenti, e tra loro colloca la ragazza, colpito dai loro volti e dai preziosi abiti tradizionali che indossavano, li immortalò su quella parete, dove ancora oggi l’opera è ben conservata nonostante il passare inesorabile degli anni.²⁰


litografia "Il cimitero" - Carlo Levi


Non si può non ricordare quanto Carlo Levi scrive nel suo Cristo:

«..., arrivavo lentamente verso il cimitero. Ma gli olivi non fanno ombra: il sole attraversa la loro frasca leggera, come un velo di tulle. Preferivo allora entrare, per il cancelletto sgangherato, nel piccolo recinto del cimitero: era il solo luogo chiuso, fresco e solitario di tutto il paese. Era anche, forse, il luogo meno triste. Seduto in terra, il biancore abbagliante delle argille scompariva, nascosto dal muro: i due cipressi ondeggiavano al vento, e tra le tombe nascevano, strani in questa terra senza fiori, dei cespugli di rose. Nel mezzo del cimitero si apriva una fossa, profonda qualche metro, con le pareti ben tagliate nella terra secca pronta per il prossimo morto. Una scaletta a pioli permetteva di entrarci e di risalire senza difficoltà. In quei giorni di calura avevo preso l'abitudine, nelle mie passeggiate al cimitero, di scendere nella fossa e di sdraiami nel fondo. Il terreno era asciutto e liscio, il sole non arrivava laggiù, e non lo arroventava. Non vedevo altro che un rettangolo di cielo chiaro, e qualche bianca nuvola vagante: nessun suono giungeva al mio orecchio. In quella solitudine, in quella libertà passavo delle ore...» Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli.

Dopo la visita ad Aliano, Levi riparte direttamente alla volta di Roma. È questo il suo ultimo viaggio da "vivo" in Basilicata; Levi è ricoverato il 23 dicembre 1974 al Policlinico Gemelli in quanto l'artista è entrato in coma diabetico. Si spegnerà pochi giorni dopo, il 4 gennaio 1975, e il suo corpo ritornerà ancora in Basilicata per trovare sepoltura ad Aliano. Quasi ad esprimere questa volontà, nella litografia Il cimitero Levi si era raffigurato mentre si rilassa al fresco dentro una fossa al cimitero di Aliano, accanto al becchino e a due ragazzi che pascolano le capre.²¹

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₁₉ Levi appone i seguenti titoli autografi: L'incontro con la Basilicata; La magia; Il cimitero; La grotta; Il pane; La malaria; Le stelle e i calanchi. Trasferiti poi su pietra, fanno da matrice per la cartella di sette litografie, arricchita da una prefazione di Guido Ballo, che viene presentata in anteprima a Mantova nel settembre del 1974, in occasione della personale di Levi che ha luogo a Palazzo Te.    
₂₀ AA.VV. - Carlo Levi a San Costantino Albanese - Op. cit., pp. 60-61. Vedi anche, Renato Iannibelli, da "Francavilla Informa" 11 giugno 2015 
₂₁ 
AA.VV. - Carlo Levi a San Costantino Albanese - Op. cit., pp. 63. 


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Bibliografia

I. Opere su Carlo Levi  
  • Giovanni Battista Bronzini - Il viaggio antropologico di Carlo Levi. Da eroe stendhaliano a guerriero birmano - ed. Dedalo, 1996
  • Gigliola De Donato (a cura di) - Carlo Levi. Il tempo e la durata in «Cristo si è fermato a Eboli»  - ed. Fahrenheit 451, 2000
  • Gigliola De Donato / Sergio D'Amaro - Un torinese del Sud: Carlo Levi - Baldini&Castoldi, 2001
  • Paolo Venturoli (a cura di) - Carlo Levi a Matera (199 dipinta e una scultura) - ed. Donzelli, 2005
  • Vito A. Colangelo - Cronistoria di un confino. L'esilio in Lucania di Carlo Levi raccontato attraverso i documenti - ed. Scrittura&Scritture, 2008
  • Domenico Notarangelo - Da Carlo Levi a Franco Rosi. Frammenti di Lucania inediti. (con DVD) - ed. Calice, 2011
  • AA.VV. - Il Telero di Carlo Levi. Da Torino un viaggio nella Questione Meridionale - ed. Cerabona, 2015
  • Nicola Coccia - L'arse argille consolerai. Carlo Levi dal confino alla liberazione di Firenze - ed. ETS, 2018
  • AA.VV. - Carlo Levi a San Costantino Albanese (edizione italiana e inglese) - ed. Humboldt Books, 2019
  • Antonio Catalfamo - Carlo Levi. Viaggio nella simbologia del mondo contadino e palingenesi sociale. ed. Solfanelli, 2019
  • Sergio D'Amaro - Le parole di Carlo Levi. Guida e dizionario tematico - ed. Stilo, 2019 

II. Opere di Carlo Levi
  • Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1945.
    Esperienza e racconto del confino in Basilicata (Lucania)

    * Le citazioni qui, in questo post, sono tratte dalla edizione Einaudi del 1970  (Collana Nuova Universale Einaudi - NUE) 

  • Le parole sono pietre (Tre giornate in Sicilia), Einaudi, 1955
  • Tutto il miele è finito, Einaudi, 1964.
    Una Sardegna di pietre e di pastori, e di uomini moderni e vivi. 


a cura di Rames Gaiba


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Rocco Scotellaro (Tricarico, 19 aprile 1923 – Portici, 15 dicembre 1953) è stato scrittore, poeta, politico, contadino. Poeta della “libertà contadina” secondo la definizione di Carlo Levi, si occupò dei problemi dei contadini del Mezzogiorno periferico, della Basilicata dei primi del Novecento. 

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