lunedì 2 novembre 2020

RISO SARDONICO il "prezzemolo del Diavolo" si fa dolorosa leggenda

La definizione odierna di un particolare modo di sorridere, quello di avere il viso atteggiato a “Riso Sardonico”, sta ad indicare un modo ‘forzato’ di apparire sorridenti, mentre in realtà è solo finzione. Questa definizione affonda la sua origine nei secoli e nei millenni, quando “riso sardonico”, indicava ben altro. L’aggettivo sardonico, riferito ad una particolare postura del viso, era da loro accostato proprio alla Sardegna, considerata abitata da un popolo barbaro. Pare sia stato Omero per primo ad usare questo termine che identificava un riso deformato dalle pieghe della bocca, che, anche se in apparenza sembrava indicare ironia, derisione o provocazione, in realtà altro non era che il frutto degli spasmi dei muscoli masticatori, causati dall’ingestione di una sostanza velenosa, che creava un particolare tipo di paralisi facciale.

Dal latino sardonǐcus (risus) 'riso convulsivo' (provocato dalla sardonia) - sec. XVII.


Nell' Odissea (capitolo XX, 301), Ulisse, a seguito dell'offesa subita da parte di Ctesippo, uno dei pretendenti di Penelope, ride nel suo animo in modo sardonico (termine greco: σαρδανιον), consapevole del destino di morte che attende Ctesippo e i suoi rivali.

«Così detto scagliò una zampa di bue con la mano gagliarda,
prendendola da un canestro; Odisseo l'evitò
piegando il capo appena, e nel cuore sorrise
amaro assai; colui colpì il muro massiccio.»

Prevengo l'obiezione che nell'Odissea, nonostante tutta la letteratura successiva che lo da' per scontato, non c'è traccia di Sardegna e dei suoi abitanti. Il problema è stato più volte affrontato dal XIX secolo quando si mise in dubbio la riconducibilità dell'aggettivo alla Sardegna. Si rilevavano delle differenze nelle varie forme nelle quali l'aggettivo "sardonico" è reso nelle fonti. Il termine σαρδανιον così come il termine atto ad indicare gli abitanti dell'isola nelle fonti classiche, ogni tanto variano. Sembra che la parola fosse vocalizzata in varie forme.

Il detto "ridere in modo sardonico", chiaro nel significato ma dalla genesi oscura, ha indotto i vari commentatori Omerici a fornire delle spiegazioni sulla sua origine. Tali commenti, purtroppo in parte discordanti fra loro, accompagnano ancora oggi il dibattito su quanto di vero ci sia stato tramandato dalla letteratura greca e latina sugli antichi abitanti della Sardegna. L'argomento viene trattato con dovizia di particolari e ampia bibliografia di riferimento da Ignazio Didu [ I. Didu, Greci e la Sardegna, il Mito e la Storia, Scuola Sarda Editrice, Cagliari 2003]

Timeo di Taormina, storico greco del IV secolo a.C., scrive testualmente nelle sue Storie: "Vicino alle Colonne d’Ercole c’è l’isola di Sardegna nella quale cresce una pianta simile al sedano. Molti dicono che quando l’assaggiano vengono colpiti da uno spasmo che li fa ridere involontariamente, e così muoiono." Quindi, secondo Timeo, questa pianta induce un riso che è tanto forte da provocare la morte a causa della contrazione violenta dei muscoli facciali.

La civiltà greca, che allora risultava essere il faro culturale del mondo, vedeva la Sardegna come un’isola popolata da un popolo arretrato e incivile. Secondo alcuni scrittori greci, tra cui Pausania e Plinio il Vecchio, sull’isola detta Sardegna cresceva una pianta simile al sedano, ma velenosissima, per cui gli stranieri che incauti raggiungevano l’Isola, mangiandola ignari della sua pericolosità, morivano in modo orribile, manifestando convulsioni nervose che stiravano le labbra in un ghigno anomalo: un atteggiamento doloroso ma simile a quello di uno che ride. Ma l’inciviltà dei sardi, secondo i greci, andava ben oltre! Quest’erba velenosa, mediante un rituale tribale terribile, era utilizzata per l’eliminazione degli anziani dei villaggi, considerati, dopo una certa età, solo un peso per la Comunità.


Questa maschera ghignante risalente al VI - V sec. a.C.
è stata rinvenuta nel 1876, in Bia de Deximu Beccia.
Attualmente si trova nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.
Costruita in terracotta è alta 18 cm¹


Il terribile rituale oggi è solo un ricordo, mischiato alla leggenda. L’erba sardonica, invece, non è scomparsa: anzi è ancora ben presente ed è una triste realtà anche oggi! Quest’erba malvagia e velenosa nei secoli non si è estinta, ma ha continuato a proliferare ed è diffusa in tutta l’Isola, quasi orgogliosa di essere presente soltanto in Sardegna! Questa pianta, tanto simile al prezzemolo, con cui facilmente può essere confusa, ha anche un profumo allettante, gradevole all'olfatto, e, proprio per la sua pericolosità è chiamata "Prezzemolo del Diavolo" (o anche Ranuncolo palustre), anche se è più nota per i suoi effetti malefici come "Erba Sardonica".


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Si tratta di una splendida opera di coroplastica, in argilla beige chiaro, decorata con una ricca serie di disegni raffiguranti rosette, sole, urei, globetti e palmette, applicati a stampo sulla fronte e sul mento.È arricchita da una banda composta da cinque linee orizzontali incise sulla fronte e sugli zigomi, quasi a simulare i tatuaggi.  Presenta inoltre, dei fori nelle orecchie e nel naso atti per ospitarvi gli orecchini e i nezem, un anello in argento applicato all’estremità del naso. Il trattamento volumetrico delle cavità oculari, la morbidezza della superficie facciale, la nettezza dei contorni e le superfici lamellari intorno alla bocca, mettono inoltre ancor più in risalto la perizia dell’artista. La pertinenza cronologica è stata a lungo oggetto di controversia. Pur con qualche discordanza fra gli studiosi, oggi si tende a collocarla al V secolo a.C. e a considerarla un prodotto dell’artigianato punico piuttosto che fenicio.

 
 
 
 
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